Le radici segnano l’appartenenza a un luogo o a una condizione da cui si trae nutrimento.
Quello in cui viviamo è un mondo in cui le distanze si sono accorciate, e allo stesso tempo l’esperienza si è data orizzonti sempre più ampi. Quando ci si sposta per scelta, lo si fa per cercare qualcosa che manca, ma lo si fa anche per portare altrove qualcosa che si ha già, per dargli nuova linfa, ossigeno. E, se possibile, tornare con più respiro.
È così che le risorse smettono di disperdersi. Perché in quel momento le radici, da elemento naturale, si trasformano in un atto consapevole, un atteggiamento concreto: è la restanza di cui parla l’antropologo Vito Teti, il sentimento di chi àncora il suo corpo a un luogo e fa diaspora con la mente.
Partire e restare allora smettono di essere due opposti. Si possono mettere radici viaggiando e si può viaggiare restando.